28 gennaio 2007

29 NOVEMBRE 1944 - 27 GENNAIO 2007 GIORNATA DELLA MEMORIA


E’ la storia di 20 bambini. Alexander Hornemann, 8 anni,Olanda,Eduard Hornemann, 12anni Olanda,Marek Steinbaum, 10anni Polonia,Marek James,6anni Polonia W. Junglieb,12anni Jugoslavia ,Roman Witonski, 7anni Polonia ,Roman Zeller 12anni Polonia,Sergio de Simone, 7anni Italia ,Georges Andre Kohn, 12anni Francia ,Eduard Reichenbaum, 10anni Polonia, Jacqueline Morgenstern, 12anni Francia ,Surcis Goldinger, 11anni Polonia ,Lelka Birnbaum, 12anni Polonia ,Eleonora Witonska, 5anni Polonia ,Ruchla Zylberberg, 10anni Polonia ,H.Wasserman, 8anni Polonia , Lea Klygerman, 8anni Polonia , Rywka Herszberg, 7anni Polonia, Blumel Mekler, 11anni Polonia, Mania Altman, 5anni Polonia.
10 maschi e 10 femmine, provenienti da Francia, Olanda, Jugoslavia, Italia, Polonia, che dal campo di sterminio di Auschwitz Birkenau, con un tremendo inganno perpetrato dall'angelo della morte, il dottor Joseph Mengele, furono inviati al campo di concentramento di Neuengamme - che distava circa 30 chilometri da Amburgo - come cavie umane per esperimenti sulla tubercolosi, che avrebbe condotto il medico nazista Kurt Heissmeyer.
I 20 bambini giunsero a Neuengamme il 29 novembre 1944.
Il dottor Kurt Heissmeyer diede inizio ai suoi esperimenti nel gennaio del 1945. Il 20 aprile, l'esperimento era fallito, i bambini erano malati e stremati e gli inglesi erano alle porte… Da Berlino giunse l'ordine di trasferirli nella scuola amburghese di Bullenhuser Damm e di eliminarli. Un'ora prima di mezzanotte ebbe inizio il loro massacro. Quella stessa notte i cadaveri dei bambini da Bullenhuser Damm furono nuovamente trasferiti a Neuengamme e cremati.
Il 18 marzo 1946, l'esercito inglese diede inizio al processo contro i 14 responsabili del massacro di questi 20 innocenti, che si concluse con la loro condanna a morte per impiccagione il 3 maggio. Solo 11 di loro furono giustiziati, gli altri tre rimasero impuniti.
Grazie a Günther Schwarberg, giornalista tedesco del settimanale "Stern" che ha dedicato tutta la sua vita nel trovare i carnefici del Terzo Reich, il 20 aprile è diventato "Il Giorno del Ricordo" e nella scuola di Bullenhuser Damm, oggi ribattezzata Janusz Korczak Schule in onore del grande pedagogo polacco morto a Treblinka insieme ai bambini ebrei dell'orfanotrofio che istituì e diresse nel ghetto di Varsavia, ogni anno viene organizzata una cerimonia commemorativa in onore di questi 20 bambini.
Il 20 aprile 1979 è nata l'"Associazione dei Bambini di Bullenhuser Damm", di cui Philippe Kohn - fratello di Georges-André, il più grande dei 20 bambini di cui il libro narra la storia - è il presidente.
Nella scuola, su una lapide posta in un giardino di rose bianche si legge: "Qui sosta in silenzio, ma quando ti allontani parla".

23 gennaio 2007

ISLAM : Reclutare e Convertire i giovani

Vorrei proporre all’opinione pubblica la strategia di reclutamento e di conversione all’Islam fondamentalista che sta avvenendo da qualche tempo in Europa, e credo tra non molto in Italia. Inizierei dallo studio del fenomeno francese che è estremamente dettagliato. Fra i tanti, prendo le mosse da uno dei più acuti osservatori di quella società, Piotr Smolar, molto seguito dall’opinione pubblica francese ed abbastanza ascoltato nell’ambito della politica, che in un recentissimo articolo apparso su “Le Monde”, descrive minuziosamente il fascino che l’Islam esercita su una parte dei giovani francesi. Innanzitutto Piotr ci dimostra come il modello sociale francese, circa l’accoglienza e l’integrazione, “fa acqua da tutte le parti”, smascherando l’assenza di un progetto di largo respiro, centrato unicamente sulla concessione del diritto di voto agli immigrati.
Paradossalmente le conversioni dopo l’11 settembre 2001, sostiene il sociologo, sono aumentate grazie ad un risveglio del proselitismo attinto fra le masse delinquenziali. I legami con elementi del radicalismo islamico, secondo un recente dettagliato rapporto della Polizia di Stato, sono cresciuti vertiginosamente attestandosi nelle periferie cittadine: le famose banlieues che tutti conosciamo. Il reclutamento maggiore e quindi la “conversione-alla-nuova-fede-ortodossa -islamica” avviene in carcere, dove questi piccoli delinquenti si associano ai più scaltri, magari più istruiti, per ottenere dei privilegi, come ad esempio “l’allestimento di una sala di preghiera, la preferenza di pasti halal o di altre facilitazioni che per delibera centrale, vengono concessi solo ai musulmani”. (in Italia esiste una indagine così accurata?!)Una volta in libertà, una parte di questi convertiti vengono integrati nelle strutture di sostegno logistico dei gruppi islamici o magari avviati “in posti altamente sensibili come aeroporti, centralini telefonici e quant’altro”. Oppure attraverso la ricerca di un lavoro tramite gli internet-point: un mezzo che in Francia è molto diffuso. Difatti molti di essi trovano lavoro in punti vendita “halal”, il cui commercio “permette spesso di ripulire il denaro sporco, come la mafia utilizza le catene di pizzerie”. Gran parte delle “prede” francesi che si “inchinano”davanti alle blandizie che ricevono da questi “benefattori”, riferisce l’inchiesta, provengono dai suburbi dove il più delle volte vivono a contatto con le comunità delle ex colonie di magrebini, che, col pretesto dell’offerta di un facile guadagno o di un posto di lavoro, abboccano. E’ la zona mediterranea dove è più spiccata la tecnica della dissimulazione, ossia delle persone senza scrupoli che, avendo vissuto una vita di espedienti, sanno camuffare bene le loro intenzioni presentandosi come persone per bene in grado di venirti incontro.
Questo atteggiamento è tipico del movimento “salafita” che per un emigrante di seconda o di terza generazione, non viene percepito come francese dai francesi ma nemmeno come arabo dagli arabi: la sua identità rimane incerta, indefinita. Il Salafismo, di ispirazione fondamentalmente atea che predica l’internazionalismo integralista (da cui prende le mosse l’attuale wahabismo, vicino ai “Fratelli Musulmani”), invece offre loro un’identità decontestualizzata nel tempo e nello spazio. Un salafista, sostiene il prof. D’Atri , vive in una specie di patria ideale senza confini, “non ha tradizioni nè patria nè tempo”. E’ quindi un’ identità particolarmente adatta per chi non riesce più a riconoscersi in nessuna patria e in nessuna tradizione. Insomma un coacervo di devianza che sfocia in rivolte contro l’ordine costituito. Così nella precarietà sociale delle immigrazioni successive l’Islam fondamentalista riesce ad attinge il suo alimento per rafforzarsi e per destabilizzare le istituzioni. E’ questo a cui allude il presidente della Consulta islamica presso il Viminale, Nur Dachan per accelerare l’avvento della sharia i Italia in sintonia con il seminario promosso a Napoli dal titolo “Dare voce ai democratici musulmani per garantire democrazia e pace nel Mediterraneo” il prossimo mese a Napoli? Udite a tal proposito cosa ha detto pochi giorni fa in un’audizione parlamentare questo “religioso:”…fino ad ’oggi, abbiamo espresso un volume impressionante di attività culturali, di mediazione istituzionale e di solidarietà nei confronti dei più deboli tra i nostri confratelli e consorelle. Chiediamo la libertà come prima strada per l’intesa, poiché siamo cittadini come gli altri ed amiamo profondamente la nostra nazione (la bell’Italia), che siamo orgogliosi di rappresentare nel mondo…”
Al di là d’ogni polemica, credo che ‘Islam d’oggi, non avendo elaborato modelli culturali alternativi, deve necessariamente appropriarsi dei modelli occidentali ormai globalmente prevalenti. Nonostante alcuni tentativi modernizzanti che stanno avvenendo in alcuni Paesi, specie in quelli della fascia magrebina (come il divieto della poligamia, del “velo”, la liberalizzazione della donna nel sociale, ecc.), l’Occidente attrae. Affascina perché è qui che si può ottenere il pieno godimento dei diritti umani. Tuttavia, questa attrazione che porta allo sradicamento delle proprie origini, se non ben metabolizzata e ragionata, porta al rigetto e quindi all’abbraccio con filosofie di vita nichiliste, che patrocinano gente alla Dachan, con le conseguenze che ben conosciamo.
La rappresentazione del fenomeno sociologico studiato in Francia testimonia la sconfitta morale di una certa sinistra presente negli organismi che contano, proni alle mistificazioni di questi novelli farisei che stanno gestendo la complessa problematica dell’immigrazione europea. La comunità internazionale, se vuole resistere a queste farneticanti ideologie, dovrebbe a mio avviso, puntare ad una strategia che coinvolga a pieno titolo i musulmani modernisti con un adeguato programma: che invece pare stia riuscendo agli estremisti islamici. La strategia vincente, in prima battuta, poterebbe consistere in un controllo maggiore sul territorio, più che di natura miliare, di natura politica. Quella militare, chiarisce Magdi Allam, è una concezione desueta della sicurezza, perchè, nell’era del terrorismo islamico globalizzato, la vera arma non sono le bombe ma “il lavaggio del cervello che traforma le persone in robot della morte”.
Francesco Pugliarello (www.letterealdirettore.it)

18 gennaio 2007

ABU OMAR: il sequestro,gli interrogatori e le violenze nelle carceri egiziane.


«Io sottoscritto, Osama Mustafa Hassan Nasr, conosciuto come Abu Omar, islamico sequestrato a Milano il 17 febbraio 2003, tuttora detenuto nel carcere di Tora al Cairo, scrivo la mia testimonianza dall'interno di questa mia tomba: sono dimagrito, la mia malattia si aggravata, sono in condizioni molto critiche. La mia faccia è trasformata a causa della tortura. Adesso spiego il sequestro. Camminavo a piedi da casa mia, in via Conte Verde 18/A, lunedì 17 febbraio 2003, andando verso la moschea per la preghiera di mezzogiorno. Avevo in tasca 450 euro (400 per pagare l'affitto), il mio passaporto italiano di rifugiato, il permesso di soggiorno, il cellulare, la tessera sanitaria, l'orologio e le chiavi di casa. Tutte queste cose si trovano ora nella sede dei servizi segreti egiziani, nei "giardini del Copa", davanti al Castello del popolo. Uscendo, ho visto un furgone bianco che mi passava davanti. Davanti a un giardino pubblico, ho visto una Fiat rossa. L'autista veniva verso di me di corsa. Ha tirato fuori una tessera: sono della polizia. Gli ho dato il permesso di soggiorno e il mio passaporto italiano. Lui tira fuori il suo cellulare e fa una chiamata. Mi sembrava un americano: capelli biondi, carnagione chiara, alto circa 1.70.

Poi il furgone bianco si è fermato vicino al marciapiede. Non ho capito niente, ho visto solo che due persone che mi sollevavano di peso: sembravano italianissimi, alti non meno di 1.87 o di più, età circa 30 anni. Il mio sequestro è stato visto anche da una signora egiziana. Quando mi hanno buttato dentro il furgone, ho cercato di reagire, ma hanno cominciato a darmi pugni in pancia e su tutto il corpo. Mi hanno buttato sul fondo del furgone e coperto la faccia. Dentro era tutto buio. Mi hanno legato piedi e mani. Tremavo per le botte e dalla mia bocca è uscita schiuma bianca. Allora ho sentito i due italiani discutere, uno dei due urlava: mi hanno strappato tutti i vestiti e mi hanno fatto un massaggio cardiaco. Dopo quattro ore circa, sempre con le mani e i piedi legati insieme, mi hanno trasferito in un altro veicolo, non so se nemmeno se fosse un altro furgone o un piccolo aereo.

Dopo un'altra ora di viaggio, ho capito che ero arrivato in un aeroporto, dal rumore degli aerei. Ho sentito tanti piedi, sette o otto persone, che camminavano verso di me. Mi hanno strappato i vestiti con dei coltelli e rivestito con una velocità incredibile. Mi hanno anche tolto la benda per pochi secondi, per farmi le foto: c'era tanta gente in divisa da teste di cuoio. Mi hanno bendato tutta la testa e la faccia con dello scotch largo, con buchi su naso e bocca per respirare. L'aereo è decollato, c'era un freddo cane. Ero immobilizzato e mi mancava il respiro. Allora mi hanno messo un respiratore. Quando siamo atterrati, perdevo sangue dalle mani. Al Cairo un funzionario egiziano mi ha detto: in questa stanza ci sono due pasha, cioè due grandi ufficiali dei servizi segreti. Uno solo ha parlato, in egiziano, dicendo solo: "Vuoi collaborare con noi?". L'altro, che probabilmente era un tenente americano, non parlava, ma poi ho capito che diceva: se Abu Omar è d'accordo, torna con noi in Italia. La mia cella era di due metri per uno, senza luce. Era in un palazzo dei servizi. Mi hanno legato le mani e un piede, mi facevano camminare, io cadevo e loro ridevano. Poi hanno continuato con le scosse elettriche, pugni, schiaffi. Hanno portato carta e penna chiedendomi di scrivere tutta la mia vita fuori dall'Egitto, mi hanno fatto vedere foto di egiziani, tunisini, algerini e marocchini residenti in Italia. Ho avuto problemi alle ossa e alla respirazione. L'interrogatorio è durato sette mesi, fino al 14 settembre 2003, ma mi sono sembrati sette anni.

Dopo un altro viaggio, mi hanno portato in un altro palazzo dove un sacco di mani mi hanno picchiato su tutto il corpo. Mi hanno detto: qui dentro non entra neanche la mosca blu. Quando ho chiesto del bagno, mi hanno detto che era la mia cella. C'era una puzza incredibile. Sono rimasto altri sei mesi e mezzo in questo posto, Amn-El-Dawla. La cella era senza aria, scarafaggi e topi camminavano sul mio corpo. Quando entrava il guardiano, dovevo mettermi in ginocchio, altrimenti mi toccava con un bastone elettrico. Da mangiare mi davano solo pane andato a male, quello con la sabbia che fa cadere i denti. Non puoi bagnarlo e non puoi rifiutarlo, perché loro devono tenere in vita uno scheletro. Mi interrogavano nell'ufficio vicino alle celle, così gli altri detenuti sentono le urla e i pianti della tortura. I miei capelli e la mia barba sono diventati tutti bianchi. All'inizio i guardiani mi spogliano nudo, minacciano di violentarmi, mi danno scosse con un bastone elettrico: uno mi tiene le parti intime e me le schiaccia se non parlo. Poi mi stendono su una porta di ferro che chiamano "la sposa": qui prendo calci, scosse elettriche con i fili e intanto mi gettano acqua fredda. Non mi hanno mai dato il Corano: c'era sempre buio in cella, ma io lo volevo solo per baciarlo e tenerlo stretto fra le braccia. Per le botte ho perso completamente l'udito da un orecchio: non sento più niente. Ho subito anche una tortura chiamata il materasso. Nella stanza delle torture mettono sul pavimento un materasso bagnato e attaccato alla corrente elettrica. Poi mi legano mani e piedi dietro la schiena. Una persona si siede sulle mie spalle su una sedia di legno e l'altro attacca la corrente. Ero sempre spaventato e spesso svenivo. Ora non ce la faccio più a continuare a scrivere di queste torture che ho subito. Dimenticavo: le prime volte che mi hanno torturato, bestemmiavano contro di me e contro l'Italia, perché mi ha dato asilo politico. Mi dicevano: è l'Italia che ti ha consegnato all'Egitto. E dall'Italia nessuno è venuto a liberarti da queste torture».

Questo è quanto dichiara il Sig. Abu Omar, che racconta(sempre che sia vero) i dettagli del sequestro, degli interrogatori e delle violenze subite nelle carceri egiziane.

14 gennaio 2007

Marzabotto 29 settembre 1944 – La Spezia 13 gennaio 2007


“Condannati al carcere a vita Paul Albers, 88 anni, aiutante maggiore di Reder; il sergente comandante di plotone Josef Baumann, 82 anni; il maresciallo delle SS Hubert Bichler, 87 anni; i sergenti Max Roithmeier, 85 anni, Max Schneider, 81, Heinz Fritz Traeger, 84, Georg Wache, 86, Helmut Wulf, 84; il maresciallo capo Adolf Schneider, 87 anni; il soldato Kurt Spieler, 81 anni. Tutti sono stati ritenuti colpevoli di concorso in violenza con omicidio contro privati nemici, pluriaggravata e continuata. Sono stati invece assolti per non aver commesso il fatto il caporale Franz Stockinger, 81 anni; il caporalmaggiore Gunther Finster, 82; i caporali Albert Piepenschneider, 83, ed Ernst Gude, 80; il sergente SS Hermann Becker, 87 anni; il caporalmaggiore Otto Erhart Tiegel, 81 anni e il sergente Wilhelm Kusterer, 84. Il Tribunale ha poi deciso la pena dell'isolamento diurno per tutti i condannati, per un periodo variabile tra uno e tre anni, e il risarcimento dei danni in favore delle parti civili per una somma complessiva di oltre 100 milioni di euro”.
Il principale responsabile della strage di Marzabotto resta il maresciallo Walter Reder già condannato all'ergastolo dal tribunale militare di Bologna nel 1951 e liberato nel 1985.
Non ho mai creduto e mai crederò al valore educativo di sentenze morali come quella pronuciata ieri sui fatti di Marzabotto. Il valore etico della sentenza e' ineccepibile e non si può contestarlo. Se invece qualcuno si illude che cose di questo tipo servano anche minimamente a scongiurare in futuro l'eventualita' che certi fatti si ripetano, si illude pericolosamente. Le punizioni per azioni del genere, per risultare esemplari, devono essere immediate e crudeli in diretta proporzione al crimine compiuto. Solo la paura di una punizione feroce, immediata e certa puo' essere utile per indurre un minimo di timore in chi imbraccia delle armi puntandole a persone disarmate.
Attenzione, non voglio essere frainteso. Io apprezzo il valore storico di certi processi. L'illusione pericolosa di cui parlavo prima e' quella che consiste nel pensare che possa valere un criterio di giustizia nei confronti militari tra popoli e nazioni. Quasi come se la guerra fosse una specie di sport, leggermente piu' violenta del calcio o della boxe , nel quale esiste un regolamento da invocare di fronte agli arbitri per ottenere le giuste punizioni. Niente di piu' sbagliato. La guerra, qualunque guerra sia, da chiunque condotta, e' solo la razionalizzazione utilitaristica della bestialita' e del male. Non esistono eserciti buoni ed eserciti cattivi. L'attribuzione degli aggettivi qualificativi e' un privilegio dei vincitori e raramente essi rinunciano ad utilizzarlo.
La profonda abiezione morale della dottrina nazista emerge con estrema chiarezza dalle pagine dove essa stessa si descrive. L'idea che possano esistere razze con diritti superiori ad altre, che i deboli debbano essere eliminati, che si debba procedere con scientifica determinazione all'estinzione di certi popoli e culture non richiede camere di consiglio per essere valutata. E' immonda. E' male assoluto.
Eppure anche eserciti che hanno marciato sotto le insegne di ideali luminosi come quelli della costituzione americana e quelli che portavano sul bavero la stella rossa di un comunismo che voleva la pace universale tra i popoli e la divisione paritaria di risorse ed opportunita', si sono macchiati di episodi di bestiale ferocia. Episodi che, grazie al risultato finale della competizione, sono stati rubricati come secondari, ma che comunque sono accaduti numerosi.
Una volta tanto mi sento di enunciare una verita' assoluta. Non esistono guerre pulite o guerre umanitarie. Le guerre possono essere fatte o subite. E' questa l'unica distinzione che riconosco. Chiunque affermi che sul pianeta esistono eserciti buoni o guerre giuste si rende autore di un ossimori criminali.
La vera valenza di processi come quello che si è svolto ieri, e' il loro contributo alla memoria. La vicenda di Marzabotto si svolse tra il 29 settembre ed il 5 ottobre del 1944,venne perpetrata dalla feroce “16 SS-Panzergrenadier-Division”. Il fatto che duro' piu' giorni, in diverse località quali Tagliadazza, Caparra, Castellano, Caviglia, Vado di Monzuno, Grizzana e, appunto, Marzabotto. e' la dimostrazione che non fu un'azione concitata durante la quale un comandante perse il controllo delle sue truppe, ma un'operazione studiata e organizzata.
Si parla di 800 vittime accertate e di oltre 1800 possibili. Il dato piu' agghiacciante sono i duecento bambini al di sotto dei dodici anni che sono stati trucidati. Ho cercato in rete ma non ho trovato un elenco dei nomi delle vittime. Mi sarebbe piaciuto pubblicarlo per testimoniare il fatto che a oltre sessanta anni dalla morte di queste persone c'e' ancora qualcuno che inorridisce per quello che si è verificato. Quasi sicuramente l'elenco esiste ma non e' on line.
Allora ho cercato dei link alle pagine che descrivono fatti e testimonianze. Ora passero' qualche minuto a leggerle. Probabilmente non serve a niente, ma se a Marzabotto fosse morto un mio parente, mi avrebbe fatto piacere che qualcuno spendesse venti minuti del suo tempo a capire come e perchè è accaduto.
Non si trova molto altro poi. La maggior parte sono link turistici e pubblicita' di bed and breakfast. L'Europa, per fortuna,è cambiata.

11 gennaio 2007

USTICA : Scusate ma non è colpa di nessuno!


Roma : torre di controllo di Ciampino
27 giugno 1980 Ore 20,59 e 45 secondi
Sul punto di coordinate 39*43Ne12*55'E scompare dallo schermo radar
un veicolo civile: é il Dc9 I-TIGI( india-tango-india-golf-india) della società Itavia ,in volo da Bologna a Palermo, nominativo radio IH-870 ,con a bordo 81 persone ,78 passeggeri e tre uomini di equipaggio .
Il controllore di turno cerca di ristabilire il contatto con il pilota del Dc9.
Lo chiama disperatamente una ,due tre volte .
A rispondergli solo un silenzio di morte .
Scatta l'allarme, ma non scattano i soccorsi che arriveranno sul punto di inabissamento dell'aereo a metà tra le isole di Ponza ed Ustica ,soltanto la mattina dopo.
Com’ è possibile che un giorno del 1980 muoiano 81 persone in un drammatico incidente (forse) aereo, e, dopo 27 anni si arrivi a dire "Non è colpa di nessuno"?
Sembra impossibile? E invece è vero. E come se è vero. Siamo ad oggi, sono passati 27 anni e la "questione Ustica" si conclude. Si conclude per sempre!
La strage di Ustica si chiude sì, ma senza nessun colpevole con l'assoluzione definitiva con formula piena per i generali Lamberto Bertolucci e Franco Ferri, processati per alto tradimento nell'ambito del disastro avvenuto il 27 giugno del 1980 che costò la vita a 81 persone.
È il risultato della decisione della prima sezione penale della Cassazione che ha dichiarato inammissibile il ricorso della Procura generale, rigettando anche il ricorso presentato dal governo. Con la bocciatura dei ricorsi, dunque, dopo 27 anni si chiude il processo penale della strage e si toglie la possibilità ai familiari delle vittime di poter chiedere, in sede civile, il risarcimento dei danni morali.
E la formula è quella "piena": il fatto non sussiste. In pratica: non è successo niente, non è colpa di nessuno.
Con chi prendersela per questo ennesimo "regalo italiano"? Con il Governo, con i militari, con le forze occulte?
Prendiamocela con noi stessi....
Prendiamocela con noi stessi, paese di persone dalla memoria incredibilmente corta; paese di persone che quando hanno la pancia piena, poche (?) tasse da pagare, pochi immigrati che "rompono", sono tranquille...e vivono serene! Queste persone non sono gli altri, siamo noi.
Abbiamo la memoria corta, e questo è già grave. Ma ciò che è peggio è che abbiamo la coscienza così debole da essere comprata e convinta da qualunque sentenza, o, peggio, dal tempo che "viene" fatto passare... perchè più tempo passa e più corriamo il rischio di dimenticarci...
Siamo un paese dalla memoria corta, ed un paese anche incapace di ribellarsi e protestare. Non per le cose inutili ma per i drammi come quelli che oggi stiamo rivivendo: persone innocenti alle quali è stato ucciso tutto. 81 famiglie che piangono dei parenti, degli amici....
Non chiediamoci cosa può fare solo la giustizia per queste persone: chiediamoci cosa possiamo fare noi. Se stare ancora zitti, se lasciar passare questa notizia sotto silenzio, accontentandoci di qualche timida protesta (che in televisione fa ormai solo folklore...quasi come gli scioperi della fame di Pannella), o se protestare - questa volta - per uno dei pochi motivi per cui meriti protestare....

10 gennaio 2007

Strage di Erba: un filmato inchioda l'assassino


A confronto l'uomo del filmato (a sinistra) e Olindo Romano.
Un filmato inchioda l’assassino. Girato con un telefonino da uno dei residenti nella cascina ristrutturata di via Diaz dove è avvenuta la strage, il filmato è stato messo a disposizione dei magistrati.
Le sequenze, entrate in possesso di Sky news 24 e trasmesse nei notiziari (sono visibili anche su internet ,mostrano il profilo di un uomo, presente nel cortile della casa di Erba mentre i vigili del fuoco stavano domando l’incendio. Un profilo abbastanza preciso nel quale, il condomino che ha avuto la presenza di spirito di riprendere l’incendio col proprio cellulare, credeva di aver riconosciuto Olindo Romano. Solo ieri però, alla luce delle nuove informazioni e, soprattutto, dopo aver appreso che l’alibi dei due coniugi si fonda sullo scontrino di una pizzeria di Como (peraltro non attendibile perché l’orario lascerebbe un buco di tre ore), il testimone rivedendo quelle immagini si sarebbe reso conto di avere nel proprio computer un documento molto importante per le indagini. Da qui al consegnarlo in procura il passo è stato breve. Ora, una tivù privata, l'emittente comasca Espansione Tv, presente con un proprio cineoperatore sul luogo in quello tesso omento avrebbe smentito che la pesona ripresa dal cellulare sia Olindo Romano. "Lo abbiamo intervistato noi quel tipo, hanno detto i responsabili di Espansione TV. E' un sosia di Romano ma non è lui".
A ogni modo gli inquirenti non avrebbero dato peso alle foto perché comunque nell'alibi presentato dagli indagati ci sarebbe un buco di tre ore durante le quali avrebbero potuto essere dovunque. Per gli investigatori e la procura quello che conta, oltre al riconoscimento di Frigerio, sono le tracce rinvenute sulla scena del crimine, in casa dei coniugi Romano, nel loro camper, nel furgone e nella lavanderia, dove sono stati scoperti anche gli indumenti macchiati di sangue. Tracce biologiche come sangue, peli, capelli, saliva. Queste tracce, che sono state cercate e, pare, rinvenute anche oggi dagli uomini del Ris, verranno analizzate con le più sofisticate tecniche di indagine scientifica e solo dai risultati si avrà la certezza di una colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio.

9 gennaio 2007

Via Poma: Residui di Dna maschile.


Dopo il caso del delitto dell’Olgiata,un altro caso clamoroso subisce una scossa col rinvenimento di nuove tracce su cui lavorare. Il caso è quello di Simonetta Cesaroni, la ragazza uccisa il 7 agosto del 1990 a Roma in via Poma. Sembra che i Ris siano riusciti ad individuare dei residui di Dna maschile sul reggiseno ed il corpetto che la ragazza indossava quando è stata uccisa. Cosa accadde quel 7 agosto?
Doveva essere quello il suo ultimo giorno di lavoro in quell’ufficio di via Poma, a Roma. Simonetta Cesaroni, nata il 5 novembre 1969 a Roma, viene rinvenuta cadavere martedì 7 agosto 1990 alle ore 23.20, in via Poma 2, scala B, appartamento n° 7, 3° piano, sede AIAG (Associazione Italiana Alberghi della Gioventù) era dipendente dello studio commerciale RELI Sas di Bizzocchi e Volponi.
Gli uffici dell’AIAG sono chiusi al pubblico. Simonetta è sola, come sempre. L’ultima azione di lei che conosciamo è una telefonata. Simonetta chiama la sua amica Daniela per chiederle un particolare sul suo lavoro al computer. Sono le 17.30. Da questo momento su Simonetta Cesaroni calano il buio ed il mistero. Il suo cadavere viene trovato in una pozza di sangue. Ha sopportato 29 colpi d’arma bianca, non un coltello, ma forse un tagliacarte che, però, non verrà mai rinvenuto. Sono ferite profonde circa 10 centimetri. Simonetta è stata colpita al cuore, alla giugulare, alla carotide, al petto ed al basso ventre, ma, con ogni probabilità, il colpo micidiale è stato un forte schiaffo o un pugno alla testa e non è escluso che la ragazza sia stata pugnalata quando era già morta, quasi a voler mettere in atto una messinscena, un depistaggio. Il corpo è seminudo, il riscontro autoptico rileva che non è stata violentata e che la sua morte è dovuta a un colpo potente ricevuto sulla testa. Le coltellate, questa la tesi più attendibile al momento, sono state inferte solo successivamente sul corpo inanimato e forse proprio per depistare gli inquirenti. L'assassino ha portato via, oltre alla sua borsa, anche i suoi pantaloni, gli slip e la maglietta. Indosso le è rimasta solo una canottiera di seta. Il reggiseno è arrotolato sul collo. Ai piedi ha ancora delle calze bianche. Le indagini, incerte e approssimative che, come le più elementari regole investigative vorrebbero, non congelano la scena del crimine, non riescono neppure a stabilire l’ora del decesso, ma ipotizzano che prima di essere assassinata la ragazza abbia lottato con il suo omicida, cercando di fuggire. Una volta a terra, sarebbe stata immobilizzata da due ginocchia molto forti che l'avrebbero costretta a restare prona sul pavimento: lo dimostrerebbero due evidenti ecchimosi all'altezza dei fianchi. Per il resto, la dinamica dell’omicidio resta misteriosa: la porta dell’appartamento non è stata forzata e la serratura viene trovata chiusa con quattro mandate: quindi il suo assassino aveva la chiave di quell’ufficio. Nessuno degli inquilini del grande condominio, sei palazzine, per un totale di mille stanze, ha sentito né grida, né rumori sospetti. Inoltre l'appartamento del delitto viene trovato quasi del tutto privo di tracce di sangue. Segno che l'assassino ha ripulito il luogo del delitto: alcuni stracci vengono ritrovati accuratamente sciacquati, strizzati e rimessi al loro posto.
E’ certo che il killer ha avuto tutto il tempo necessario: segno, questo, che sapeva che in quell’ufficio non sarebbe stato disturbato da nessuno. Un esempio? Le scarpe di Simonetta vengono trovate slacciate e ordinatamente risposte in un angolo. Nell’appartamento sono quindi pochi, e confusi, gli elementi che riconducono agli ultimi attimi di vita di Simonetta: sulla sua scrivania di lavoro viene trovato un foglietto con disegnato un pupazzetto e una scritta all’apparenza indecifrabile: «Ce dead ok». Secondo alcuni Ce starebbe per Cesaroni, «dead» in inglese significa morto, quindi: «Cesaroni morta ok»? Ma che significato ha un simile messaggio e scritto da chi, poiché la grafia sembrerebbe appartenere alla ragazza stessa? L’arcano di quello strano messaggio viene spiegato, qualche giorno dopo, dalla ditta Data General che aveva fornito il computer agli uffici di via Poma. Il foglietto con quella sigla, spiegano, si riferisce ad una delle fasi di impiego del PC. La scritta ce dead, appariva sullo schermo del computer per avvertire l'operatore che occorreva procedere con una chiave di accesso per andare avanti. Misterioso anche il ruolo che nella morte di Simonetta avrebbe proprio il computer su cui la ragazza stava lavorando. In un primo momento una società di informatica, incaricata dal magistrato che si occupa delle indagini, il PM Settembrino Nebbioso, di stabilire l’ora esatta in cui Simonetta avrebbe acceso il computer per cominciare a lavorare, stabilisce che lo stesso era stato acceso alle 16.37. L’ora è importante perché rende compatibili o meno con il delitto gli alibi di molti sospettati. Ma sei anni dopo, nel marzo del 1996, una nuova perizia sul computer scopre qualcosa di assolutamente elementare: il computer in dotazione all’AIAG non ha l’inserimento automatico dell’ora di accensione, ma quello manuale. In altre parole quell’ora, le 16.37 appunto, potrebbe essere stata inserita da chiunque, forse addirittura dai tecnici della società di informatica che ha svolto la prima perizia la quale, oltretutto, sembrerebbe avere legami con i servizi segreti civili, il SISDE. L’ombra dei servizi segreti, che fa da filo conduttore, comparirebbe anche nell’assetto societario della stessa AIAG che, nonostante le reiterate smentite dei suoi dirigenti, viene anch’essa sospettata di essere una struttura coperta dello stesso SISDE.
L'ipotesi investigativa, sulle prime, è che il portiere dello stabile, Pietrino Vanacore (nella foto)
abbia cercato, senza riuscirci, di violentare Simonetta e poi l'abbia uccisa. L'experimentum crucis scagiona il portiere. Le perizie ematiche si rivelano essere dello stesso Vanacore che soffre di emorroidi. Il Tribunale della libertà lo scarcera venti giorni dopo il suo arresto. Nel marzo del 1992 entra in scena uno strano personaggio: è Roland Voller, un tedesco che sembra sapere molte cose e che forse è soltanto un elemento di depistaggio. Commerciante, presunto informatore della polizia, sospettato di collusioni con i servizi segreti, Voller rivela particolari che portano il magistrato a spiccare un avviso di garanzia nei confronti di Federico Valle, nipote dell'architetto Cesare, inquilino del palazzo del delitto. Secondo il tedesco, il ragazzo, 21 anni nel 1990, avrebbe ucciso Simonetta dopo aver scoperto che la giovane aveva una relazione con suo padre. Oltretutto Federico Valle la sera del delitto sarebbe tornato a casa con un braccio sanguinante per una ferita. Valle sarebbe l'assassino e Vanacore il suo complice che pulisce l'appartamento dopo il delitto e si sbarazza degli indumenti di Simonetta. Ma, come proverà l’esame del DNA, il sangue di Federico Valle non corrisponde a quello trovato nell’appartamento. Si ipotizza, infine, che il suo sangue possa essersi mischiato a quello della Cesaroni: ma anche questa ipotesi non trova alcun riscontro scientifico. Su di un braccio di Federico viene notata una cicatrice, ma la stessa nulla ha a che fare con una ferita da arma da taglio. Il 16 giugno 1993, tre anni dopo il delitto Cesaroni, la magistratura dichiara l'impossibilità di procedere contro Valle e Vanacore e archivia le loro posizioni: contro di loro c’è un’assoluta mancanza di indizi. Il giudice Cappiello "serenamente" come scrive alla fine della sentenza dichiara l'improcedibilità specificando che non ritiene Valle e Vanacore innocenti, ma piuttosto rileva la mancanza assoluta di prove sui fatti loro addebitati. Una sconfitta per la Giustizia per il caso in sé; una Vittoria per i processi del futuro che dovranno essere compiuti col potenziamento della prova scientifica, sia nella testa degl'inquirenti che nei mezzi forniti dallo Stato per la scoperta certa dei delitti. Il 23 febbraio 1995, il procuratore aggiunto di Roma, Italo Ormanni, si lascia andare ad una previsione a dir poco avventata. Dice Ormanni ai giornalisti: «Abbiamo imboccato una strada che è quella giusta in due delle tre inchieste sugli omicidi di Simonetta Cesaroni, Antonella di Veroli e Alberica Filo della Torre. Quanto lunga sarà questa strada non lo sappiamo, ma speriamo di arrivare al traguardo». A questi tre delitti a tutt’oggi insoluti, per Ormanni se ne aggiungerà un quarto: il delitto della Sapienza, il caso Marta Russo.
Il delitto di via Poma rimane congelato fino al 1996, quando i genitori di Simonetta presentano un’istanza di riapertura delle indagini. La magistratura sembra voler ricominciare daccapo: vengono interrogati di nuovo tutti i vecchi personaggi dell’inchiesta, ma anche questo è un buco nell’acqua. Si torna a parlare del delitto di via Poma nell’ottobre del 2000 quando, a sorpresa, Claudio Cesaroni, padre di Simonetta, chiede l’archiviazione dell'inchiesta giudiziaria sull'omicidio di sua figlia e invita il ministro della Giustizia dell’epoca, Piero Fassino, ad ordinare un'ispezione amministrativa «perché in tutto il procedimento ci sono stati errori, omissioni e depistaggi che devono essere scoperti e chiariti». Cesaroni è convinto che le indagini abbiano puntato a coprire le responsabilità di qualcuno e si dice «sfiduciato per la mancanza di volontà da parte della magistratura e della polizia di trovare l'assassino, che è rimasto così ancora sconosciuto e libero di circolare».
Secondo il papà di Simonetta «l'indagine amministrativa - si legge nella lettera inviata al ministro - dovrebbe anche chiarire perché non siano stati fatti esami del DNA su alcune persone». Il delitto di via Poma attualmente è un caso insoluto e l’assassino è ancora tra noi.

6 gennaio 2007

SE I TERRORISTI POSSONO LAVORARE NELLE ISTITUZIONI, IVAN LIGGI DEVE TORNARE NELLA POLIZIA DI STATO


Comunicato stampa 2/07

del 3 gennaio 2007

alla cortese attenzione

delle testate stampa e organi d’informazione



Oggetto: Franco Maccari - SE I TERRORISTI POSSONO LAVORARE NELLE ISTITUZIONI, IVAN LIGGI DEVE TORNARE NELLA POLIZIA DI STATO



“Se non è più ritenuto scandaloso che ex terroristi collaborino all’interno di organismi istituzionali, è doveroso riammettere nella Polizia di Stato tutti coloro che ne sono stati allontanati per aver sbagliato con l’intento di difendere le istituzioni medesime.” Cosi, ad inizio dell’anno, Franco Maccari, Segretario Generale del Coisp, lancia per il 2007 la proposta di riabilitazione e riammissione in servizio di Operatori di Polizia, a partire da Ivan Liggi.

Susanna Ronconi, ex terrorista delle Brigate Rosse e di Prima Linea, condannata a 12 anni di reclusione per l’omicidio di militanti missini è chiamata a collaborare nella consulta per le tossicodipendenze dal ministro per la solidarietà sociale e, prima, aveva ottenuto consulenze dal ministro Livia Turco.

Sergio D’Elia, ex terrorista di Prima Linea, condannato prima a trent’anni di reclusione, ridotti a 25 in appello e poi a 12 grazie alle leggi sulla dissociazione per l’omicidio dell’agente di polizia Fausto Dionisi, è stato riabilitato nel 2000: eletto alla Camera, è stato nominato alla segreteria di presidenza di Montecitorio.
Vittorio Alvaro Antonimi, già responsabile della colonna romana delle Brigate Rosse, coinvolto nel sequestro Dozier, arrestato nel 1985, è in semilibertà dal 2000. Ha avuto “l'onore” di essere convocato a Montecitorio dalla commissione Giustizia per discutere dei problemi delle carceri.

Barbara Balzerani, la terrorista delle Brigate Rosse coinvolta nel sequestro e nell'omicidio di Aldo Moro, condannata a tre ergastoli, ha ottenuto la libertà condizionata dal tribunale di sorveglianza di Roma ed il suo caso è ora oggetto di discussione.

Ivan Liggi, agente della polizia stradale condannato a nove anni e otto mesi di reclusione per aver provocato la morte di un automobilista che nel 1997, a Rimini, tentò di sfuggire ad un controllo di polizia, graziato in questi giorni dal Capo dello Stato, Giorgio Napolitano.

“Se coloro che in passato hanno combattuto lo Stato possono essere considerati meritevoli di partecipare alla vita delle istituzioni - afferma Maccari - malgrado ne abbiano ammazzato alcuni tra i migliori servitori con azioni vigliacche, senza mai pentirsi realmente e senza mai chiedere “scusa” ai familiari delle vittime, o di tornare in libertà nonostante tre ergastoli, il COISP chiede che IVAN LIGGI, sfortunato Servitore dello Stato, possa essere riammesso nell’organico della Polizia, perché, a differenza dei criminali brigatisti e di Prima linea, è stato condannato al carcere per un omicidio scaturito durante un’operazione di polizia, quella polizia per la quale ha rischiato la vita ogni giorno.” “Di conseguenza - conclude Maccari - chiediamo che siano riviste tutte le posizioni di quei poliziotti destituiti dalla Polizia di Stato a seguito di condanne per reati commessi durante operazioni di servizio.”



Con gentile preghiera di pubblicazione e diffusione



Responsabile Ufficio Stampa: Dott. Tullio Cardona

( 349.6634961 - 328.9878858 - 041.711052 - 041.719160 fax 348.5533330 mail ufficiostampa@coisp.it

5 gennaio 2007

Vescovo di Varsavia: Spia comunista


Era stato nominato ufficialmente quale successore del cardinale Jozef Glemp alla guida della diocesi di Varsavia il 6 dicembre scorso, dopo un iter piuttosto lungo: la sua designazione, già decisa, era stata «congelata» per alcune settimane, e infine resa ufficialmente nota. Ora su monsignore Stanislaw Wielgus, classe 1939, fino a pochi giorni fa vescovo di Plock, in procinto di assumere la guida della diocesi di Varsavia, si è abbattuta una bufera. Il settimanale di destra Gazeta Polska ha accusato il nuovo arcivescovo – una delle personalità più eminenti della cultura polacca, già rettore dell’università cattolica di Lublino – di aver collaborato per vent’anni con la polizia politica comunista e di aver svolto per il governo del regime un «lodevole servizio». Pur avendo annunciato che esistono le prove di questo rapporto tra Wielgus e i servizi segreti polacchi, la rivista non le ha poi fornite, e questo è strano in un Paese dove, grazie al lavoro dell’Istituto per la memoria nazionale, escono centinaia di dossier. Wielgus, dal canto suo, non ha negato di essere stato contattato, ma ha dichiarato di non aver mai accettato le proposte della polizia politica e dunque di non avere mai fatto la spia per conto del governo.
Due giorni fa, la sala stampa vaticana ha reso noto uno scarno ma eloquente comunicato, facendo notare che la Santa sede «nel decidere la nomina del nuovo arcivescovo metropolita di Varsavia, ha preso in considerazione tutte le circostanze della sua vita, tra cui anche quelle riguardanti il suo passato. Ciò significa che il Santo padre nutre verso mons. Stanislaw Wielgus piena fiducia e, con piena consapevolezza, gli ha affidato la missione di pastore dell’arcidiocesi di Varsavia». Parole che spiegano come le accuse fossero note al Vaticano: il fatto che la nomina sia avvenuta comunque sta a significare che si è appurato la loro inconsistenza. Anche la presidenza della Conferenza episcopale polacca ha emesso una dichiarazione, nella quale si parla di «pubblica lesione del diritto alla buona fama di una concreta persona» e si definisce quanto accaduto come un «chiaro esempio di “lustrazione” selvaggia». «Lustrazione» è il termine tecnico per il procedimento di riconoscimento delle responsabilità di collaborazione con gli organi di sicurezza del regime comunista. «Tale situazione – continua la conferenza episcopale polacca – è specialmente offensiva nel caso di un ecclesiastico: infatti il semplice verificarsi di una conversazione di un sacerdote con gli esponenti dei servizi di sicurezza comunisti non può in se stesso attestare una collaborazione immorale».
Negli anni scorsi, i dossier emersi dalle ricerche dell’Istituto per la memoria nazionale avevano sollevato pesanti accuse nei confronti del padre domenicano Konrad Heymo, organizzatore dei pellegrinaggi polacchi a Roma e conoscente di Giovanni Paolo II. Il numero di preti che risultano assoldati come informatori, negli anni del regime comunista, è altissimo. Il 25 maggio scorso, proprio a Varsavia, incontrando il clero della città, Benedetto XVI aveva fatto riferimento a questo problema dicendo: «Conviene tuttavia guardarsi dalla pretesa di impancarsi con arroganza a giudici delle generazioni precedenti, vissute in altri tempi e in altre circostanze. Occorre umile sincerità per non negare i peccati del passato, e tuttavia non indulgere a facili accuse in assenza di prove reali o ignorando le differenti precomprensioni di allora».
Dagli archivi della polizia segreta, nel 2001, erano uscite molte carte che mostravano con quale attenzione i servizi polacchi seguissero i passi di Karol Wojtyla, fin da quando era parroco. Da arcivescovo, il futuro Papa era tenuto sott’occhio da sacerdoti-spie. «Questo si è sempre saputo – ha dichiarato Stanislaw Dziwisz, segretario di Giovanni Paolo II – c’erano anche molte microspie. Per questo quando si doveva parlare di argomenti riservati, il cardinale invitava sempre i suoi interlocutori a fare una passeggiata all’esterno».

4 gennaio 2007

Uranio impoverito: due persone contaminate in Puglia


ROMA - Due persone sarebbero ammalate per probabile contaminazione da uranio impoverito. Lo ha segnalato Falco Accame, ex presidente della Commissione Difesa della Camera e attuale presidente dell'Associazione delle vittime appartenenti alle forze armate. Le due persone contaminate sarebbero una crocerossina e un ufficiale, residenti in provincia di Lecce. Accame ha aggiunto: "Questi due casi confermano la Puglia, insieme alla Sardegna, tra le regioni piu' colpite, come sempre per pura casualita'. Sempre in Puglia il 6 ottobre 2005 mori' il militare Alberto Di Raimondo dopo i casi di malattia o morte di Calcagni, Pilloni, Di Giacobbe, Antonaci, Maramarco, D'Alicandro, La Monaca. Cio' che preoccupa e' che questi casi, ovviamente noti al ministero della Difesa, sono venuti alla luce accidentalmente". (Agr) Questo è quanto leggo sulle notizie odierne, ma tempo fa pubblicai un articolo sull’uranio impoverito che vorrei riproporvi alla Vs. attenzione.Questo l'articolo:


Decine di migliaia di tonnellate di materiale radioattivo sparso per anni su tutta la superficie del pianeta. Uranio nei proiettili, nelle mine e per blindare i carri armati. Uranio come contrappeso nella costruzione di aerei civili e militari, elicotteri, satelliti, navi e barche a vela. Uranio come schermante nelle stanze degli ospedali e nelle apparecchiature diagnostiche. Persino nelle leghe per le otturazioni dei denti e nelle mazze da golf. Nessun freno all'uso delle scorie radioattive, nessuna misura protettiva, nessun controllo. E soprattutto nessuna informazione da parte dei governi e delle strutture preposte, che hanno sorvolato con colpevole leggerezza sulle più elementari norme di tutela della salute dei loro cittadini. Un crimine contro l'umanità. La maggior parte del materiale che leggerete in queste pagine è tratto dal sito dei comitati "Stop all'uranio 238!" (www.stop-u238.i.am), fusi nell'Osservatorio Etico Ambientale (OEA).
Il nuovo rischio del nucleare deriva principalmente dai prodotti di scarto della lavorazione, le cosiddette "scorie nucleari", derivanti dal processo di arricchimento dell' uranio per la creazione di combustibile per le centrali e le armi nucleari. Queste scorie sono presenti nella forma di esafluoruro di uranio (UF6) che viene convertito in uranio impoverito (UI) per essere poi utilizzato nei modi più disparati. L'UI è una sostanza radioattiva e tossica che viene chiamata "uranio impoverito" perché è principalmente costituita dall'isotopo U-238 e contiene una piccola percentuale dell'isotopo fissionabile U-235. Anche se la sua radioattività è il 40% in meno dell'uranio fissile, è sempre ben 60 volte più radioattivo del materiale che si trova in natura.
Una proprietà caratteristica dell'UI di cui poco si parla è la piroforicità: si tratta della capacità dell'UI di auto-incendiarsi a temperatura ambiente in determinate condizioni e di innescare incendi. E anche se non s'incendia perde in un anno lo 0.5 della sua massa. Le emissioni dell'UI sono date principalmente da particelle "alfa" che per certi versi sono più insidiose dei "gamma" dell'uranio 235 perché possono essere respirate e non vengono segnalate dai contatori Geyger. La quantità di UI stoccata attualmente nel mondo è superiore ai 6milioni di tonnellate. Ovvero poco più di un chilogrammo per ogni essere umano. Le cifre ufficiali parlano di 150mila tonnellate in Gran Bretagna, 250mila in Francia, 750mila negli USA e addirittura 5milioni di tonnellate in Russia. Si tratta delle famose scorie nucleari per le quali non si è mai trovata una soluzione di smaltimento. O almeno così si pensava: nella realtà invece si è scoperto che migliaia di tonnellate sono state riciclate in beni destinati a uso commerciale e in questa forma disperse nell'ambiente.
I danni provocati dell'UI, o meglio dalle radiazioni da questo emesso, sono di tipo cancerogeno, mutagenico-genotossico. Inoltre, nel caso per esempio che venga bruciato durante un incendio, si formano i diossidi di uranio, i cui effetti sulla popolazione sono evidenti in Irak, dove sono state bruciate 300 tonnellate di uranio (ammesse ufficialmente), leucemie, tumori, malformazioni genetiche, e non solo sulla popolazione locale.
Durante la Guerra del Golfo del 1991, fra aerei e carri armati inglesi e americani, sono state sparate qualcosa come 340 tonnellate di UI, si tratta, tanto per usare un termine di paragone, di una quantità cento volte maggiore di quella rilasciata durante l'incidente di Cernobyl (dove la vita media è passata da 67 anni a 42).
L'UI, venduto a 17 paesi del mondo e fornito gratuitamente ai produttori di armi, viene usato per costruire proiettili anticarro lunghi circa mezzo metro capaci, grazie all'altissimo peso specifico dell'uranio, di perforare pareti d'acciaio fino a 6 centimetri di spessore. Al momento dell'impatto l'UI brucia, creando particelle radioattive estremamente volatili in grado di "ricadere" in un'area praticamente illimitata.
L'uso di UI come zavorra e contrappeso in aerei ed elicotteri civili e militari ha dell'incredibile. E' dal 1969 che la popolazione viene sottoposta non solo ai rischi della dispersione nell'aria, avvenuta per centinaia di tonnellate, che ha incrementato la ricorrenza di tumori e altre patologie, ma anche al rischio d'incendio di uno qualsiasi delle migliaia di aerei che utilizzano il materiale radioattivo per appesantire i piani di coda e delle ali. La Boeing, chiamata direttamente in causa dopo il disastro di Amsterdam, ha ammesso che sì: i suoi 747 ne sono provvisti. E non solo i suoi. Anche la compagnia di bandiera Alitalia parla di un chilo di UI per aereo, mentre la Boeing ne ammette ufficialmente l'uso di 350 chili.

3 gennaio 2007

Pena di morte nel mondo


Un piccolo report.
2148 sono le condanne a morte eseguite nel 2005 in ventidue paesi.
94% sono avvenute in Cina Iran Arabia Saudita e Usa
Negli ultimi 10 anni il fronte abolizionista è cresciuto di 40 membri
71 le nazioni che continuano ad uccidere i loro cittadini
14 in america
24 in Africa
12 in Medio Oriente
20 in Asia
1 in Europa (la Bielorussia)
125 i paesi che hanno abolito la pena di morte nella legge e nella pratica
87 l'hanno eliminata del tutto
11 la mantengono in casi eccezionali
27 in vigore ma non l'anno piu' applicata da 10 anni
L'assemblea Generale dell' Onu ha respinto la moratoria per soli 8 voti
il nuovo segretario generale dell' ONU ha affermato che l' Iraq aveva diritto ad eseguire la condanna a morte di Saddam in quanto responsabile di orrendi delitti e di indicibili atrocita' contro il suo popolo20.000 i detenuti nei bracci della morte, 1770 nel 2005 le esecuzioni in Cina.
Questi i dati, spero che il Governo italiano possa fregiarsi di un risultato magnifico, se la proposta di moratoria venisse accolta, anche perchè sono sempre più convinto che la punizione per un delitto non può essere applicata con lo stesso delitto.