11 febbraio 2009

Se il nonno è in ansia e fa pedinare il nipote


Sono i nonni ad essere sempre più preoccupati della vita segreta dei loro nipoti. Trascorrono con loro i pomeriggi dopo la scuola, mentre i genitori sono a lavoro. Notano i cambiamenti dei ragazzini, subiscono i malumori e l'irascibilità dei loro atteggiamenti. Quattordicenni chiusi in se stessi.
E proiettati in un mondo che i familiari conoscono solo attraverso il racconto di tv e giornali. Senza più dialogo, l'unica soluzione è rivolgersi a qualcuno, a chi è in grado di seguire il nipote senza farsi scoprire. Riferire su dove va la notte quando non rientra e con chi è stato tutto quel tempo. E, soprattutto, se beve e fa uso di stupefacenti.
Cresce a Roma il numero di chi si rivolge a un investigatore privato per indagini su minori e droga. Dopo l'adulterio, è il campo che più impegna gli Sherlock Holmes di casa nostra. E i nonni hanno superato i genitori nelle richieste di intervento.
Le agenzie sponsorizzano servizi creati ad hoc, che spiegano rischi e pericoli fin nei minimi dettagli. «Difesa minori e antidroga», si legge in un volantino pubblicitario: «un servizio per tutti quei genitori che pensano che il proprio figlio possa correre pericoli di vario genere o essere entrato in loschi giri di droga». Tra gli annunci, c'è chi propone un «servizio di osservazione specifica e mirata con riferimento ai fenomeni di devianza giovanile e sui comportamenti sospetti (droghe, amicizie deviate)». Un investigatore privato, più esplicito, scrive nel proprio sito internet: «I tuoi figli tornano tardi? Temi che si possano drogare? Prevenire significa risparmiare molto ed evita problemi futuri con la legge e nel lavoro. Hai dubbi sulle amicizie e sulle persone che frequentano i tuoi figli? Ricordati che la droga e la delinquenza sono pronte ad approfittare della debolezza dei giovani». Ma quanto è diffuso questo fenomeno? «Abbiamo registrato un aumento di richieste di investigazioni direi del 400 per cento negli ultimi due anni», spiega Miriam Tomponzi, titolare della «Miriam Tomponzi Investigations». «Con un incremento soprattutto nel periodo estivo, subito dopo la chiusura delle scuole» spiega Bernardo Ferro, titolare dell'agenzia «La segretissima». I figli pedinati hanno dai 12 ai 16 anni. Spesso ci sono cambiamenti improvvisi nei loro comportamenti alla base della scelta del genitore. Altre volte, invece, basta la paura di chi teme i pericoli dell'esterno. E tra i nonni l'intenzione è quella di voler essere certi di un reale pericolo nella vita del nipote prima di segnalarlo ai genitori: «Tra alcol e droghe, e con tutto quello che si vede in tv, la preoccupazione è inevitabile», spiegano gli investigatori. «Gli anziani poi non vogliono far dispiacere inutilmente i loro figli». E spesso le indagini investigative confermano i timori dei committenti: «Ne ho fascicoli pieni - continua Bernardo Ferro - Tante altre volte, invece, i sospetti non trovavano alcun riscontro». E ci vogliono almeno tre sabati notte di seguito per consegnare le prove, con appostamenti che cominciano dal pomeriggio e finiscono all'alba, quando i ragazzi rientrano a casa. Con operatori giovani, ventenni, infiltrati nelle discoteche per non destare sospetti, ed altri, più grandi, che effettuano pedinamenti ad ampio raggio. «Dopo Milano, e Napoli per altri versi, a Roma c'è l'emergenza droga più forte, sia nelle scuole private del centro che in quelle pubbliche delle periferie - spiega Miriam Tomponzi - Per non parlare dei locali, dove troviamo questi ragazzini deglutire, insieme, pasticche e bevande a base di taurina».
Viviana Spinella (Il Tempo)

15 maggio 2008

CASSAZIONE: SPIA LA MOGLIE CON UNA CIMICE IN TELEFONO, CONDANNATO


ROMA - I mariti, per gelosia, non possono mettere le 'cimici' nel telefono della casa coniugale per controllare le conversazioni della propria consorte della quale sospettano l'infedeltà. Lo sottolinea la Cassazione. Infatti la Suprema corte - sentenza 19368 della Quinta sezione penale - ha confermato la condanna (la cui entità non è riportata in sentenza) nei confronti di un libero professionista di Gela che, temendo di essere tradito dalla moglie, aveva installato un apparecchio per intercettare le conversazioni telefoniche della dolce metà. Senza successo Giuseppe A. (54 anni) ha provato a discolparsi, in Cassazione, sostenendo che la 'cimice' gli serviva non già per spiare la moglie ma per "individuare l'autore di molestie telefoniche indirizzate anche verso la figlia minorenne". Ma i giudici di Piazza Cavour non gli hanno creduto perché da una perizia era emerso che quell'apparecchio non poteva individuare alcuna utenza ma solo registrare le conversazioni. Era stata proprio la moglie del professionista, Vincenza S., a scoprire casualmente "l'aggeggio" nascosto nel telefono: la donna presentò denuncia "indicando la probabile ragione nella indagine che conduceva il geloso consorte sulle sue supposte amicizie extra-coniugali". Ora Giuseppe ha pagato caro il suo temperamento da 'Otello'. (Ansa)

15 febbraio 2007

Lettera aperta al Presidente della Repubblica


A Onorevole Giorgio NAPOLITANO
Presidente della Repubblica Italiana
Palazzo del Quirinale 00100- ROMA
Esimio Presidente,
mi permetto di scriverLe questa lettera a seguito delle dichiarazioni del presidente croato, Stipe Mesic, che ha affermato di aver intravisto nelle sue dichiarazioni, in occasione della Giornata del ricordo delle foibe "elementi di aperto razzismo, revisionismo storico e revanscismo politico".
In particolare il suo omologo croato non ha gradito che Lei abbia definito i fiumani ed i dalmati “vittime di un moto di odio e di furia sanguinaria e di un disegno annessionistico slavo che prevalse nel Trattato di pace del 1947 e che assunse i sinistri contorni di una pulizia etnica".

Ebbene , con tutto il rispetto dovuto, alla carica che ricopre più che alla Sua persona, non sono del tutto d’accordo con l’ondata di voci sdegnate dei nostri politici che si sono affrettati a difenderLa ed a bollare Mesic come un matto.
Troppo facile insultare chi critica senza farsi un esame di coscienza e senza chiedersi cosa possa aver scatenato una tale reazione da parte del presidente croato, finora definito liberale e moderato.

Lei se l’è fatto un esame di coscienza, caro Presidente? (La prego, Signor Presidente, non mi cestini già a questo punto. Devo ancora chiederLe un po’ del Suo tempo)
Ad una prima lettura superficiale del discorso da Lei recentemente pronunciato sembrerebbe di sì.
Tanto che tutti, da sinistra, ma soprattutto da destra, si sono affrettati ad urlare al miracolo: un uomo di sinistra come lei, con il suo passato politico, che finalmente ammetteva, non solo la tragedia che ha colpito circa 15.000 persone, ma soprattutto che condannava la congiura del silenzio che aveva dolosamente nascosto questo dramma per 60 anni.
E devo ammettere che anch’io ero contento che Lei si fosse assunto “la responsabilità di aver negato o teso ad ignorare la verità per pregiudiziali ideologiche e cecità politica” .

Ma non mi basta.
E forse non basta neppure a Mesic. Forse non basta alle vittime delle foibe ed ai loro parenti.
Perché, leggendo con più attenzione il suo discorso, manca qualcosa, manca un pezzo di storia, manca un tassello fondamentale, manca una parola, che è un’ammissione di responsabilità, ma che Lei si ostina a nascondere “per pregiudiziali ideologiche e cecità politica”.
Manca proprio quella parola che racchiude in sé centinaia di milioni di morti: COMUNISMO.

Lo scrivo maiuscolo, esimio Presidente, perché Lei non può continuare a far finta che non sia mai esistito e che non abbia mai causato tutti i morti che ha causato, e poi pretendere che chi ha subìto sulla propria pelle quella immane tragedia, che sono stati i regimi comunisti dell’est Europa, faccia finta di niente.

Troppo comodo dire che le foibe sono state solo colpa di Tito e delle mire espansionistiche jugoslave.
Se vuole davvero far qualcosa perché il 'Giorno del Ricordo ' si trasformi seriamente in “un solenne impegno di ristabilimento della verità”, la verità va detta tutta.

E la verità che Lei si ostina a tacere e a nascondere dolosamente è che tra gli assassini infoibatori c’erano anche tanti, tantissimi, partigiani comunisti italiani.
Italiani traditori della loro Patria, che per anni hanno combattuto contro i propri fratelli e compatrioti per far sì che il Venezia Giulia finisse sotto il regime comunista di Tito.
Maledetti assassini italiani comunisti che hanno fatto strage di altri italiani, istriani, dalmati, non per pulizia etnica, ma perché si opponevano al loro tentativo di spostare la cortina di ferro qualche chilometro più a ovest.

E così come lo sa Lei, lo sa bene Mesic e lo sanno ancor meglio tutti gli abitanti del Venezia Giulia, dell’Istria, della Dalmazia, della Slovenia e della Croazia, che hanno avuto migliaia di morti a causa della guerra che le truppe “ titine”!, affiancate dai partigiani comunisti italiani, hanno combattuto per anni, dopo il ‘45, per annettere quelle terre alla Jugoslavia.
Allora, magari, esimio Presidente, ammettendo questo, non si possono certo giustificare le parole piuttosto aggressive di Mesic, ma forse si possono anche capire.
Io non so cosa gli sia passato per la mente e certamente ha sbagliato, ma ho la sensazione che gli abbia dato decisamente fastidio passare per il presidente di un popolo cattivo, mentre un comunista, ideologicamente molto vicino agli assassini comunisti partigiani infoibatori, abbia scaricato sugli slavi tutte le colpe, anche quelle che non avevano, e si sia spacciato per il presidente buono di un popolo, autodefinito esclusivamente vittima.
Magari sentendola scaricare su croati e sloveni tutta la responsabilità di quella tragedia, liquidata fin troppo facilmente come pulizia etnica, si sarà un po’ infuriato nel vedere che Lei non si assumeva la benché minima responsabilità morale per quanto accaduto.
Può anche darsi che gli abbia dato fastidio sentirsi dare lezioni di verità da uno che giusto pochi mesi fa, con enorme fatica e dopo essere stato ripetutamente tirato per la giacchetta, si è finalmente deciso ad ammettere di aver sbagliato a chiamare "teppisti" e "spregevoli provocatori" gli operai insorti nella rivoluzione ungherese del ’56, ed a definire l’invasione sovietica, che aveva sedato nel sangue la rivolta ungherese, un elemento di "stabilizzazione internazionale" e un "contributo alla pace nel mondo". Forse si sarà infastidito nel notare che, ancora oggi, i nostri comunisti si permettono di dare lezioni di verità storica al mondo, ma si ostinano a non ammettere le migliaia di morti che hanno causato i partigiani comunisti, quando la guerra era già finita da tempo.
Potrebbe essersi stupito nel notare che, dopo le sue parole, il Manifesto e i giornali a Lei cari parlassero ancora di vendette degli slavi per le stragi fasciste.
Forse si sarà offeso nel sentirsi dare del popolo vendicatore e assassino, quando invece lui sa bene che le peggiori vendette sono state proprio quelle degli italiani partigiani rossi comunisti, non solo contro i fascisti, ma contro gli stessi partigiani bianchi.
È probabile che gli abbia dato fastidio il notare che Lei taceva di un’altra scomoda verità: i morti non erano solo italiani, ma tanti , tantissimi sloveni e croati che si opponevano al regime comunista.
Diciamoci la verità, caro Presidente: i morti delle foibe sono vittime del comunismo. Punto e basta.
E gli assassini infoibatori erano comunisti. Punto e basta.
Non si possono fare distinzioni di nazionalità, né tra gli assassini né tra i morti.
Troppo facile parlare di pulizia etnica e di mire espansionistiche.
Troppo comodo dare tutte le colpe agli jugoslavi e far finta che gli italiani non abbiano cercato con la forza di annettere un pezzo d’Italia al blocco comunista.
Ecco che magari, se ammettiamo questo, diventa più difficile dare completamente torto a Mesic, se si è un pochino, ma non più di tanto, alterato nel leggere il suo discorso.
E già che siamo in vena di esami di coscienza, caro Presidente, perché non si guarda allo specchio e non si chiede se gli arresti dei 15 brigatisti di ieri non siano figli della stessa negazione di verità storiche.
Restiamo l’unico Paese europeo che non si vergogna ad avere nella maggioranza governativa partiti e uomini che si dichiarano apertamente comunisti.
Assumiamo brigatisti (comunisti), mai veramente pentiti, nei posti più importanti delle nostre istituzioni.
Chiamiamo terroristi (comunisti), che non hanno neppure finito di scontare la propria pena, a discutere dal pulpito della nascita di uno dei più importanti partiti del Paese.
Permettiamo che tornino a piede libero, senza aver mai fatto un giorno di galera, capi terroristi (comunisti) che si proclamano tutt’oggi rivoluzionari pronti a prendere le armi.
Graziamo assassini (comunisti). Anzi, per la verità è stato il suo primo atto ufficiale dopo la sua elezione.
Intitoliamo aule del Senato a devastatori di professione no-global (comunisti) che hanno tentato di uccidere agenti dello Stato che lei dovrebbe rappresentare.
Candidiamo a importanti cariche amministrative poeti idioti (comunisti) che incitano all’odio di classe.
Demonizziamo ripetutamente gli avversari politici ed in particolare incitiamo all’odio collettivo nei confronti dell’ex capo del governo.
Continuiamo a ignorare, come se non esistesse e non fosse storicamente importantissima, la risoluzione del Consiglio d’Europa che, finalmente, dopo 60 anni di bugie, ha equiparato il comunismo al nazismo ed ha riconosciuto che questo infame regime ha causato almeno 100 milioni di morti.
Proponiamo leggi che puniscono chi nega l’olocausto, ma non ci sogniamo minimamente di estenderle a chi nega che il comunismo sia stato un male ben peggiore.
E allora, esimio Presidente, quando la sera al Quirinale si mette il pigiamino presidenziale e si stende nel lettone non sente il peso di queste negazioni, di queste bugie, di questi morti?
Non si sente un po’ in colpa se ancora esistono le Brigate Rosse?

Con ossequio,

Bernardo Ferro direttore della Segretissima Investigazioni –Roma-

12 febbraio 2007

BRIGATE ROSSE: Il ritorno del partito armato

Mentre pensiamo e ci trastulliamo con le Veroniche ed i Silvi, o con i Dico, ex Pacs, con i pacchi di Rai Uno o con l’imminente, imprescindibile, festività di San Valentino, nell’ombra continua ad esserci chi fa terribilmente sul serio.
E’ notizia di queste ultime ore che la Digos, con una imponente operazione che ha visto impegnati contemporaneamente cinquecento uomini e che si è svolta a Milano, Torino, Padova e Trieste, ha arrestato quindici persone e, probabilmente, sventato la riorganizzazione delle Brigate Rosse.
A detta degli inquirenti ed il ministro Amato, queste nuove Brigate Rosse si chiamano “Seconda Posizione” e, come le altre, si ispirano al marxismo-leninismo, predicando la rivoluzione del proletariato e la presa comunista del potere.
Secondo il ministro dell’Interno l’organizzazione stava preparando un clamoroso attentato, che ora è presumibilmente da ritenersi sventato. Gli indagati, tra cui alcuni ex sindacalisti, sono accusati di ricostruire il vecchio partito armato” le Brigate Rosse”. Amato: «Forse sventato un attentato»
Operazione scattata all'alba, si è intensificata in diverse regioni del Nord Italia contro gruppi legati alla rinascita delle Br. Apprezzato dal ministro dell'Interno, Giuliano Amato: «Probabilmente questa volta siamo riusciti a prevenire un attentato brigatista. E lo abbiamo fatto grazie a due anni di indagini condotte con grande professionalità dalle Digos di Milano, Padova, Torino e Trieste, sotto la direzione dell'Ucigos, non senza l'importante collaborazione dell'intero sistema di sicurezza antiterrorismo, a cominciare dal Sisde. Per mesi i componenti di questa colonna brigatista sono stati sottoposti non solo a intercettazioni, ma anche a controlli ravvicinati quotidiani, facendo emergere prove sufficienti per arrivare al loro arresto. Era un'organizzazione strutturata e di forte pericolosità, ma i nostri uomini sono riusciti a intervenire prima che producesse danni seri». «È un successo importante - ha concluso Amato - all'interno di un'attività antiterrorismo che prosegue. L'azione di oggi, infatti, testimonia la presenza nel Paese di focolai brigatisti non ancora rimossi. Questo che abbiamo sgominato, lo sappiamo, non è l'ultimo».
Sono 15 le persone arrestate nel corso del blitz antiterrorismo nel Nord Italia e tutte sarebbero accusate di far parte di un progetto che avrebbe tentato di rilanciare le Brigate Rosse che facevano parte della cosiddetta «seconda posizione». L'operazione è scattata all'alba nel nord Italia. Molti gli indagati, accusati di appartenere a una formazione eversiva di stampo marxista leninista. Il reato è previsto dall' articolo 270 bis del Codice penale: associazione con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell'ordine democratico. Nel corso dell'operazione sono stati eseguiti anche arresti in esecuzione di provvedimento cautelare emesso dall'autorità giudiziaria di Milano. Oltre 80 le perquisizioni in varie regioni. Tra le prove raccolte dagli inquirenti, a quanto si è saputo, ci sono anche esercitazioni di tipo paramilitare che gli indagati avrebbero compiuto andando a sparare con armi corte e lunghe in zone di campagna. Queste esercitazioni sono state anche filmate.
Tra le persone arrestate c'è anche Alfredo D'Avanzo, 49 anni, ritenuto uno dei capofila di "Seconda posizione". D'Avanzo era stato condannato nell' 82 a dieci anni di carcere per rapina a mano armata ed era stato fermato il 20 gennaio '98 a Parigi su richiesta della magistratura italiana, e rimesso in libertà qualche giorno dopo dalla Corte d' Appello della capitale francese. Oltre a D'Avanzo, tra i destinatari dell' ordinanza cautelare in carcere firmata dal gip Salvini ci sono anche alcuni sindacalisti della Cgil, già sospesi.
L'operazione, spiega una nota, trae origine da una lunga inchiesta, coordinata dal sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano Ilda Bocassini, avviata nell'estate del 2004. Le indagini sono state condotte, sotto la direzione dell'Ucigos e dalle Digos di Milano, Padova e Torino, Trieste.
Nell'operazione, condotta congiuntamente dalle questure di Milano, Padova e Torino, avviata alle prime luci dell'alba, sono state compiute una ventina di perquisizioni nelle abitazioni dei giovani vicini al Centro sociale Gramigna di Padova, portando a termine sei arresti.
Leggere questa notizia mi rattrista tantissimo, mi riporta indietro di anni, gli anni che hanno segnato una storia del nostro paese, dove anch’io ero in prima linea. Mi aspettavo che i soliti "odiatori di professione" stessero tramando qualcosa. Del resto i loro cattivi maestri sono osannati, serviti e riveriti da tanta parte della sinistra, sinistrata, sinistrante. A questo punto mi chiedo cosa davvero pensi il Dott. Sottile e perchè stia ancora con una maggioranza pavida e, per molta sua parte, opportunista e giustificazionista nei confronti di certa "feccia". Ancora compagni che sbagliano? E in cosa di grazia? Pronti a sabotare lo Stato poichè a governare ci sono i loro “compagnucci” di merende. Non capisco e, ovvio, non mi adeguo.

10 febbraio 2007

Foibe - 10 febbraio 2007- Giornata del Ricordo


Il termine«foiba» (dal latino "fovea", "fossa") veniva utilizzato per definire le numerose voragini (ne sono state censite 1.700) che sprofondano per centinaia di metri nelle viscere della terra, caratterizzate da cavità di ogni genere, cunicoli, grotte, acque che scorrono fra tortuosi, profondi meandri e che caratterizzano l'altipiano roccioso del Carso, un territorio che si estende su notevole parte della Venezia Giulia in provincia di Trieste, dell’Istria e della Dalmazia.

La convivenza fra Italiani e Slavi

Nel periodo della Serenissima Repubblica Veneta (1420/1797) le due etnie convivevano in Istria con una certa armonia; è dopo il 1866, quando alla fine della terza guerra di Indipendenza si fanno più insistenti i movimenti nazionalisti, che l’Austria, presente dal 1814, per contenere il gruppo etnico italiano, gli concede maggiori privilegi rispetto a quello slavo. La scelta alimenta le tensioni fra le diverse etnie, ma è dopo il Trattato di Rapallo (12 novembre 1920), quando il confine orientale vede annessi all'Italia territori ad etnia mista italo-croata e italo-slovena che le tensioni diventano ancora più forti. Infatti, a seguito del nuovo assetto politico comincia l’italianizzazione delle “terre irredente”: da altre regioni arrivano funzionari ed impiegati pubblici, che si sostituiscono a quelli locali, la lingua ufficiale diventa l’italiano, dialetti e lingue dei popoli presenti sul territorio sono vietati; se l’effetto di tali cambiamenti è relativamente doloroso nelle città della costa, dove comunque gli “italiani” erano in maggioranza e dove bi e trilinguismo erano la norma; questi cambiamenti vengono mal accolti nelle zone rurali e nell’interno, dove gli slavi si ribellano violentemente alle imposizioni del Regno d’Italia

I fatti del 43/45

L'uso delle foibe per occultare i cadaveri durante e la seconda guerra mondiale avvenne in due distinti periodi. Il primo risale al ’43, immediatamente dopo l’8 settembre quando l'Istria interna diventa terra di nessuno perché i tedeschi, impegnati ad occupare i centri strategici di Trieste, Pola e Fiume, trascurano l'entroterra per carenza di forze. Ad una prima fase “spontaneista” e che fu un fatto di giustizia popolare sommaria, perché la popolazione dell’Istria slava, vedeva in queste azioni il proprio riscatto dopo le oppressioni patite dall’etnia italiana (ma anche per regolare questioni di interesse personale), ne seguì un'altra, contrassegnata dal riuscito tentativo degli organi del Movimento popolare di liberazione jugoslavo di assumere il pieno controllo della situazione militare e politica, grazie anche all'arrivo in Istria di forze partigiane e quadri dirigenti del Partito comunista croato. In quella circostanza le vittime furono cittadini del gruppo etnico italiano, rei di avere nutrito idee politiche diverse da quelle degli occupanti e della colpa di essere italiani. In questa fase le vittime furono: non più di 600 secondo le autorità italiane, migliaia secondo la Wehrmacht ed alcuni testimoni italiani, stando a quanto riportato dai tedeschi dopo la ripresa del controllo del territorio istriano da parte della Germania nazista. Ben più sanguinoso fu invece lo sterminio che ebbe luogo tra il 1° maggio e il 12 giugno 1945 e che si svolse principalmente nelle città di Trieste e di Gorizia. Tra marzo e aprile anglo-americani e jugoslavi sono impegnati nella corsa per arrivare primi a Trieste, il 28 aprile 1945, Mussolini viene ucciso dai partigiani a Dongo (Co) le armi tacciono. All'alba del 30 aprile 1945 Trieste imbraccia le armi contro i Tedeschi. Tra le migliaia d'insorti ci sono rappresentanti dei risorgenti partiti politici italiani, Militari dei Carabinieri, della Guardia di Finanza e della Guardia Civica. A sera, dopo sanguinosi scontri a fuoco i "Volontari della Libertà", hanno il controllo di buona parte della città. Il 1° maggio, alle 9:30: Trieste viene “liberata” dalla IV armata di Tito: tra loro non c’è nessuna unità partigiana italiana. Gli ordini di Tito e del suo ministro degli esteri Kardelj sono inequivocabili: «Epurare subito», «Punire con severità tutti i fomentatori dello sciovinismo e dell’odio nazionale», l’obiettivo era quello di sedersi al tavolo delle trattative degli alleati dopo essersi impossessato dell’Istria, Trieste e Gorizia fino all’Isonzo, ma soprattutto dopo aver “ripulito” il territorio dalla presenza italiana, in modo da legittimare la consegna di queste terre alla Jugoslavia. I "Volontari della Libertà" vengono disconosciuti, come i partigiani del CLN, costretti a rientrare nella clandestinità. Gli Slavi assumono i pieni poteri. Nominano un Commissario Politico, impongono il coprifuoco e dispongono il passaggio all'ora legale per uniformare la Città al "resto della Jugoslavia". In città vige il terrore. Ha inizio la tragedia, che si protrae per alcune settimane, sebbene a Trieste e a Gorizia - fra il 2 e il 3 maggio - sia arrivata anche la seconda divisione neozelandese del generale Bernard Freyberg, inquadrata nell’VIII armata britannica, che assiste senza intervenire, in attesa di ordini da Londra.
L'otto maggio Trieste viene proclamata "città autonoma" della "Settima Repubblica Federativa di Jugoslavia". Si prelevano i cittadini dalle case, alcuni sono vittime di regolamenti personali, pochi fascisti o collaborazionisti, ma molti Combattenti della Guerra di Liberazione: agli occupatori preme dimostrare di essere i liberatori del capoluogo giuliano, ben presto si scopre che i prelevati finiscono nelle foibe o nei campi di concentramento di Tito. Iniziano arresti indiscriminati, confische, requisizioni, violenze d'ogni genere, i triestini chiedono, invano l’intervento del Comando Alleato. Finalmente arriva l’ordine da Londra e gli Angloamericani intimano alle truppe slave di ritirarsi. Il 9 giugno a Belgrado, il Leader iugoslavo, verificato che Stalin non era disposto a sostenerlo nella presa di Trieste, fa arretrare le sue truppe e con il ritiro delle milizie slave ha termine il regime del terrore ed il massacro. Tito e il generale Alexander tracciano la linea di demarcazione Morgan, che prevedeva due zone di occupazione – la A e la B – dei territori goriziano e triestino: la prima sotto quello Angloamericano, la seconda sotto quello slavo. Solo nell'ottobre del 1954 l'Italia prese il pieno controllo di Trieste, lasciando l'Istria all'amministrazione jugoslava.

Il rituale delle foibe

Le violenze alle quali i prigionieri vengono sottoposti prima dell'eliminazione sono indescrivibili: molti venivano evirati, altri torturati, con le donne si adottava la sevizia e o lo stupro. Nelle località costiere si procedeva agli annegamenti collettivi: legati l'uno all'altro col filo dì ferro e opportunamente zavorrati con grosse pietre, i prigionieri venivano portati al largo su grosse barche e gettati in mare. Ma il metodo più diffuso per sbarazzarsi dei cadaveri fu quello dell'infoibamento: considerato più pratico e facilmente occultabile. Caricati su autocorriere o su autocarri requisiti, i prigionieri venivano portati, preferibilmente di notte, nelle vicinanze di una foiba. Ad essi venivano legati, con filo di ferro stretto da pinze, i polsi sul davanti, se erano vestiti si ordinava loro di alzare le braccia e di sollevare sul capo la giacca in modo da coprirsi il volto. Le donne dovevano nascondersi il volto con la sottana. Avvicinati i prigionieri sull'orlo della foiba a gruppi, si procedeva all'esecuzione, sparando un colpo di arma da fuoco alla nuca, al volto o al torace delle vittime: i corpi venivano poi fatti precipitare nel baratro. A volte i condannati vennero posti l'uno di fianco all'altro, spalla contro spalla, e legati all'altezza delle braccia con il filo di ferro, a due a due o a gruppi più consistenti. Ammassati tutti sul ciglio, si sparava ai più vicini al precipizio in modo che, cadendo nel vuoto, trascinassero gli altri ancora vivi. Per impedire ogni ricerca e identificazione, talvolta i prigionieri venivano condotti nudi sul luogo dell'esecuzione. A volte, dopo l'infoibamento, si facevano brillare delle mine in prossimità dell'apertura della voragine, ottenendo in tal modo il franamento e l'ostruzione della cavità.
Un altro macabro rituale caratterizzava questi orrendi massacri: dopo l'infoibamento delle vittime veniva lanciato sul mucchio dei cadaveri un cane nero vivo: secondo un'antica leggenda balcanica, l'animale "latrando in eterno toglieva per sempre agli uccisi la pace dell'aldilà".

Il numero delle vittime

E’ difficile fare una stima esatta delle vittime; i ritrovamenti sono stati parziali, considerando la difficoltà dei recuperi, l’impossibilità di effettuarli nelle foibe site nell’ex Jugoslavia ed anche perché tutti i documenti anagrafici sono andati completamente distrutti (in linea con il principio di far scomparire qualsiasi traccia della presenza italiana). Lo storico Raoul Pupo indica in circa 5.000 il numero dei morti. Per il tenente colonnello inglese De Gaston, capo del “Patriots Office”, i soli infoibati furono circa 9.800, di cui oltre 4.000 civili, donne e bambini compresi. Da un'indagine più precisa del Centro studi adriatici, diretto da Luigi Papo, raccolta in un albo pubblicato nel 1989 le vittime sono 10.137: 994 infoibate, 326 accertate ma non recuperate dalle profondità carsiche, 5.643 vittime presunte sulla base di segnalazioni locali o altre fonti, 3.174 morte nei campi di concentramento iugoslavi; una stima totale, sempre secondo tale centro di studi, è di circa 17.000 vittime, comprendendo i morti nei campi di concentramento e fucilati, che probabilmente furono poi occultati nelle foibe.

I profughi dalmati

Una delle tante pagine non scritte della nostra storia recente è l'Esodo di 350.000 fiumani, istriani e dalmati che, dal 1945, si riversarono in un'Italia sconfitta e semidistrutta. Da Fiume fuggirono 54 mila su 60 mila abitanti, da Pola 32 mila, da Zara 20 mila su 21 mila, da Capodistria 14 mila su 15 mila.
Questi 350.000 italiani furono gli unici a pagare il prezzo della sconfitta italiana nella seconda guerra; cancellati dai libri, dai dibattiti politici e culturali, dai media, fino al 2004, quando la Repubblica italiana riconosce le tragedie del confine orientale con una giornata: il 10 febbraio 1957 quando l’Italia cedeva alla Jugoslavia parte della Venezia Giulia nel Trattato di Parigi, dedicata al ricordo delle Foibe e dell'esodo istriano, fiumano e dalmato.

Islamici e latinos uccisi : Torna il Ku Klux Klan


Risorge il Ku Klux Klan (KKK) i cappucci bianchi che per quasi un secolo, a cavallo del 900, terrorizzarono la popolazione nera del profondo sud. Il Ku Klux Klan fa nuove reclute denunciando l’immigrazione clandestina o «invasione illegale messicana» come la chiama il su leader Phil Lawson.
LA RESURREZIONE DEL KLAN - Secondo il Southern poverty law center, un’associazione dei diritti civili che ne segue l’attività, i gruppi che lo compongono sono saliti da 110 nel 2000 a 150 l’anno scorso. Ammonisce la Anti defamation league, un’associazione che combatte l’antisemitismo e il razzismo: «La resurrezione del Ku Klux Klan è inquietante. Sfrutta la psicosi dell’assedio causata dalla guerra al terrorismo per seminare l’odio». William Aponte, l’agente dell’Fbi incaricato della protezione dei diritti civili nel profondo sud, definisce i reclutamenti nel Ku Klux Klan «massicci». «Per un biennio dopo la strage delle Torri gemelle di Manhattan» spiega «i cosiddetti cavalieri bianchi fecero proseliti tra chi temeva gli islamici. Ora li fa tra chi vede negli immigrati clandestini un pericolo per il proprio posto di lavoro, un fattore di inquinamento della società».
ADEPTI IN AUMENTO - Aponte non sa quanti membri abbia il Ku Klux Klan, ma ne denuncia le crescenti manifestazioni «soprattutto nel Texas, nell’Indiana e nello Iowa». Lawson, che si presenta come «il mago imperiale», parla di migliaia e migliaia di nuovi adepti, senza precisare quanti: «Con il governo che permette agli illegali di entrare negli Usa liberamente, il nostro numero cresce di giorno in giorno» afferma. L’Fbi teme che il ritorno del Ku Klux Klan, colpevole delle più orrende impiccagioni dei giovani neri della storia Usa, esasperi la guerra occulta di frontiera in corso sui clandestini. Ieri in Arizona un gruppo di 4 banditi armati e mascherati ha attaccato un furgone carico di immigrati uccidendone tre e ferendone gravemente due. Il giorno primo, lo stesso o un altro gruppo aveva aggredito e derubato altri illegali ma senza fare vittime. Stando all’Fbi, incidenti del genere sono in aumento da alcuni mesi, e non è chiaro se si tratti di bande ispaniche, di vigilantes americani – gente che vuole chiudere i confini – o di razzisti.

9 febbraio 2007

Sgrena e Calipari : Obiettivi Sensibili


Calipari era contrario alla linea Usa nelle trattative. La Sgrena indagava sull'uso di armi illecite da parte degli statunitensi. Il “tragico incidente” ha le caratteristiche di un agguato. Al momento della sparatoria Calipari era al telefono coi vertici dello Stato. I telefoni di Calipari scompaiono per qualche giorno. Troppe stranezze nella vicenda che ha coinvolto gli italiani in Iraq.
L'ipotesi del tragico incidente avanzata dagli USA ha cominciato a vacillare quando Giuliana Sgrena ha raccontato la sua verità. L'avvertimento dei suoi stessi rapitori (“Attenta…gli americani non vogliono che torni”) si è rivelato più che fondato. Giuliana Sgrena e Nicola Calidari hanno subito un vero e proprio agguato. Ma perché?
Obiettivo: Nicola Calipari
Nicola Calipari era un agente molto esperto. Aveva moltissimi contatti tra le bande di rapitori in Iraq e una grande esperienza nella mediazione, nella trattativa con terroristi o chi per loro. La sua esperienza era fuori discussione, aveva già contribuito a salvare decine di ostaggi.
Perché gli ostaggi italiani vengono liberati in numero molto più sostanzioso rispetto agli americani? Perché il governo italiano è disposto a pagare. Le due Simone sono state liberate dietro compenso, e non solo loro. Linea morbida, dunque. Purché gli ostaggi restino in vita e tornino a casa sani e salvi.
Gli USA hanno scelto invece tutta un'altra linea: non si tratta con i terroristi. "Linea dura" senza se e senza ma. Le modalità di trattativa italiane arrivano ad interessare il regime di Bush nel momento in cui i media americani evidenziano questa disparità, dovendo essere costretti sempre a parlare di liberazioni di italiani e decapitazioni di americani. Per l'opinione pubblica e l'appoggio internazionale alla guerra, questa disparità significa un vero e proprio ostacolo anche in prospettiva di altre guerre nella zona mediorientale.
Come abbiamo già detto, l'uomo che più di ogni altro contribuiva al buon funzionamento della "linea morbida" italiana era Nicola Calipari. I suoi telefonini erano ricchissimi di contatti.
Quale sia stato l'ordine impartito ai marines di Baghdad non possiamo saperlo. Certo è che Calipari era un obiettivo sensibile. L'uomo che faceva la differenza tra due modi diversi di gestire una situazione di guerra.
Obiettivo: Giuliana Sgrena
Da qualche tempo Giuliana Sgrena si trovava in Iraq per indagare. Quelle buche incredibilmente grandi nel suolo di Falluja facevano pensare all'uso di bome al napalm, come quelle usate dagli americani in Vietnam. Stava indagando con precisione, intervistando anche la martoriata popolazione di Falluja. Gli abitanti del villaggio di Saqlawiya (vicino Falluja) raccontano di aver seppellito molti cadaveri completamente carbonizzati.
Il dottor Khalid ash-Shaykhili parla di totale distruzione dell'ambiente, di uso di sostanze chimiche e gas tossici. Le prove dell'utilizzo degli americani di sostanze illecite ci sono eccome.
D'altronde prendere la roccaforte sannita era un obiettivo importante per gli USA. Sarebbero stati disposti a tutto pur di raggiungere l'obiettivo. È la guerra.
Un'indagine scomoda, dunque, quella di Giuliana Sgrena. Pochi hanno parlato di "uso di armi illecite": tra questi c'è però una deputata del partito laburista inglese, che dichiara "Visto che abbiamo la possibilità di fare domande, ma non ci viene permesso di aprire una discussione, voglio dire che questa guerra è illegale. Perché non ci sono più immagini di persone che vivono a Falluja? Che tipo di armi sono state usate?".
E in effetti, immagini di Falluja non se ne hanno più. Sarà perché ci sono ancora cadaveri a cielo aperto, sarà perché gli americani stanno ricoprendo tutte quelle grosse buche nel terreno.
Alla luce di questo, quella frase dei rapitori assume tutto un altro significato: "Gli americani non vogliono che torni".
L'agguato
Mentre si dirigevano verso l'aeroporto, i tre (c'era anche un "terzo uomo" ) erano in contatto telefonico satellitare ( si badi al particolare ) con Palazzo Chigi. Al momento della sparatoria, i telefoni erano accesi e in contatto diretto coi vertici dello Stato italiano. Si sono sentiti gli spari. Calipari viene ucciso, gli altri due feriti. Poi gli americani si accorgono dei telefoni accesi e salta tutto il piano. A quel punto si può fare ben poco. Fatto sta che scompaiono per un po' di tempo: la macchina crivellata di colpi, i telefoni di Calipari e le armi degli italiani. Ricompaiono un po' di tempo dopo. Gli inquirenti dovranno tenere conto anche della possibilità di inquinamento delle prove. Resto sempre della mia opinione, il Cermis forse è un acronimo, Nicola Calipari é solo un morto.